Patania, Gioiosa e la sua Stella polare
Gioiosa M., 16 nov. 2008 – Ammetto che prima d’ora non avevo compreso il senso di un ritornello tanto allegro e scanzonato tra i versi di una canzone come Vitti ‘na crozza, un canto bello ma troppo triste per un simile ritornello, che racconta la morte. Almeno così pensavo. Ma ora ho capito che questa canzone ha il senso della vita: ogni giorno conviviamo con l’ineluttabile data, non rinunciando a cantare un allegro ritornello, non rinunciando a vivere e a gioire, senza pensare all’ultima dimora. Giusto il Foscolo, forse, non l’avrebbe cantata, timoroso che “dentro l'urne confortate di pianto” il sonno della morte” non debba essere “ men duro”? Era più ottimista Epicuro. Ma che dire di Patanìa, nostro discreto concittadino, uomo dalle amicizie semplici e dai sentimenti ‘ciechi’, tanto da non discriminare gli uomini dagli animali. Lui che col gruppo di amici fidati ha provato umana pietà per le sofferenze di Stella, una sfortunata cagnetta ammalatasi di leismaniosi, una grave malattia parassitaria che puo’ essere trasmessa al cane da un insetto più piccolo della zanzara, comunemente chiamato pappatacio. “Ma io no, non ti abbandono” ha detto Patanìa. E ha speso i suoi soldi in medicine e il suo tempo nelle cure, mentre i gestori dell’Antico Borgo, con profonda umanità hanno portato da mangiare, perché Stella non soffrisse anche la fame. Stella ha chiuso gli occhi per sempre lo scorso ottobre, morendo del parto di 6 cuccioli, subito adottati da altrettante umanissime famiglie, che l’hanno voluta là, dove è sempre vissuta. Sotto il ponte di Càsani, dove Patania, Carmelo e tutti coloro che l’hanno assistita e pianta continuano a portarle i fiori, come a una madre. “Per me Stella rappresentava questo paese, dove sono nato”. Di più non dice Patania, se non: “Era un altro randagio”, mentre sistema i fiori sulla piccola tomba, allestita con toccante decoro e confortante cura e dignità, come un estremo letto di sposa.
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