MI CHIAMO ERIC UMILE, MA UN TEMPO CI CHIAMAVAMO UMINA, QUASI GUMINA


Memoria, spazio, e tempo:

L’emigrazione di una famiglia Giojosana dal Cinquecento ai nostri giorni

Eric M. Umile, Psy.D.

Questo saggio è stato tratto dalla presentazione di una conferenza intitolata:

“...Percorrendo i luoghi della memoria...”, il 4 di aprile 2004, nell’auditorio comunale di Gioiosa Marea, Provincia di Messina, sponsorizzata dall’Associazione Progetto 33, l’Assessorato di Beni Culturali della Regione Siciliana e del Comune di Gioiosa Marea.

Mi chiamo Eric Umile. Abito a Filadelfia, negli Stati Uniti d’America. In questo saggio, parlerò della mia ricerca genealogica sulla mia famiglia, dell’importanza della memoria nella mia opera genealogica, e degli effetti dell’emigrazione sulla mia famiglia.

Ho un interesse particolare per l’argomento memoria. Sono di professione uno psicologo clinico, specializzato in neuropsicologia, materia che studia appunto le relazioni fra il cervello ed il comportamento. Valuto e curo persone con disturbi neurologici e con ferite traumatiche del cervello. La memoria è la facoltà conoscitiva più importante che io valuto. È anche la funzione mentale più vulnerabile. Se una persona perdesse l’abilità ad imparare e ricordare, diverrebbe invalida intellettualmente e funzionalmente. Perderebbe importantissimi ricordi di persone ed esperienze, che svanirebbero come neve al sole. Perderebbe il senso del tempo e del fine. Perderebbe il passato. Alla fine perderebbe se stesso.

Sono anche un genealogista, e sono molto interessato alla memoria dalla prospettiva storica. Senza memoria non possiamo conoscere la nostra storia o le vite delle persone che hanno vissuto prima di noi. Per me, la genealogia è solamente una via sistematica per conservare i ricordi dei nostri antenati. è stata la mia vocazione principale fin da quando ero giovane. Ho cominciato la ricerca della storia della mia famiglia italiana nel 1983. Il lavoro era difficile, ma facevo dei progressi.

Qualcuno mi ha detto che la maggior parte degli Europei non sono affascinati dalla genealogia come lo sono gli Americani. Non studio le ragioni di ciò, ma sono sicuro che ci sono fattori sociologici e culturali per spiegarlo. Ho ipotesi mie. Gli Europei sono discendenti di famiglie che hanno vissuto nella propria patria per secoli, qualche volte nello stesso paese. La maggior parte degli Americani, d’altra parte, sono figli o nipoti di emigranti. Loro non conoscono molto bene la terra d’origine da cui i loro antenati sono venuti. Molti Americani hanno perso la loro identità etnica originale. In un certo senso, non conoscono se stessi. Hanno perso il loro contesto storico, e cercano di soddisfare il senso di mancanza di "qualcosa" nella loro vita. Vogliono ricordare cose che avevano dimenticato.

Una volta ho letto di un camposanto in Messico diviso in due parti: la prima parte ospita "i morti recenti", le tombe sono abbellite con fiori portati dai viventi; la seconda parte ospita "i morti veri", le tombe non sono mantenute perché nessun vivente li ricorda. "I morti recenti" sono ancora ricordati; "i morti veri" non sono ricordati. In altri termini, quando un vecchio è morto, lui prende con sé i suoi ricordi di molte altre persone. In quel momento, queste persone divengono "veramente morte" perché nessun vivo le ricorda (Cfr. Irvin D. Yalom, Existential Psychotherapy, New York: Basic Books, 1980, p. 46).

Da morti, vorreste che la vostra famiglia ed i vostri amici vi ricordassero, perché se vi ricordano, continuate ad esistere nelle loro menti e nei loro cuori. Comunque, quando la vostra famiglia ed i vostri amici sono morti, e non c’è nessuno a ricordarvi, siete svaniti dal mondo dei viventi, e divenite "morti veri". In quel momento, solo Dio vi ricorda.

L’idea che i nostri antenati continuano ad esistere nella nostra memoria ha prodotto in me una grande impressione. Questo ci dice che noi siamo i custodi delle memorie dei nostri antenati, se noi venissimo meno alle nostre responsabilità, loro sarebbero dimenticati. Scomparirebbero nella notte dei tempi e diverrebbero "morti veri". Questo è il motivo per cui io cerco i cognomi dei miei antenati. Con la mia ricerca, "i morti veri" ritornano dall’oblio e si riuniscono con la famiglia dei viventi. Esistono di nuovo nella mia mente e nelle menti di coloro che leggono la mia ricerca. Esistono di nuovo perché sono ricordati. In un certo senso, vivono di nuovo nelle nostre memorie.

Il mio cognome è Umile, ma questo non fu sempre così. Mio nonno fu battezzato "Adolfo Umina" nel 1889 nella città di Chieti in Abruzzo. Il Tribunale di quella città, nel 1902, cambiò il suo cognome da "Umina" a "Umile". Originariamente, il cognome si scriveva "Umina". Suo padre, Vincenzo Umina di Chieti, lo scriveva allo stesso modo, ed anche suo nonno Antonio Umina di Chieti, e suo bisnonno Francesco Umina. Francesco Umina era un siciliano originario dell'isola di Lipari, nell'Arcipelago delle Eolie, nella Provincia di Messina, in Sicilia.Il padre di Francesco si chiamava invece "Natale Gumino.” Questo Natale era nativo di Giojosa Guardia, un vecchio borgo feudale che era situato sulla cima di un monte in Sicilia. Il cognome di Natale si scriveva "Gumino", una variazione minore del cognome "Gumina", che è il cognome predominante in Sicilia. Generazioni prima, il cognome "Gumino", si scriveva "Di Gumino", e si trova "Di Gumino" nei registri parrocchiali di Giojosa Guardia, oggi custoditi presso l’archivio parrocchiale di San Nicola di Giojosa Marea.

è ovvio che il mio cognome ha subito molte trasformazioni. Mi sembra che tre siano i fattori responsabili di questi mutamenti: emigrazione, spazio e tempo … e sono tutti affini. Il tempo era un fattore definito. Tutte le cose cambiano col tempo, questo è innegabile. Anche lo spazio e l’emigrazione sono stati fattori importanti. Mentre la mia famiglia traslocava nello spazio geografico da un posto ad un altro, era influenzata da diverse forze socio-culturali, che producevano la graduale trasformazione del cognome. Ironicamente, tutte queste modifiche avvenivano in Italia. Il mio cognome non è più cambiato da che la famiglia è emigrata negli Stati Uniti.

Sono certo che i miei antenati sono originari di Gioiosa Guardia dal 1550. Duecento anni più tardi, verso il 1758, il mio antenato Natale Gumino scese a valle per l'ultima volta e raggiunse la costa per navigare nelle acque delle Isole Eolie. Questa fu la prima emigrazione della mia famiglia. Natale era l’unico figlio di Antonino Gumino, che era il quinto e più giovane figlio di Giovanni Gumino detto Cappellina. Antonino morì quando suo figlio Natale era un bambino. Natale ebbe tre zii facoltosi, ma nessuna parte del patrimonio di famiglia. Non ebbe incentivi per rimanere a Giojosa Guardia, ed andò via verso il 1758 quando raggiunse la maggiore età. Non so dove abitò il decennio seguente. Nel 1768 lo rinvenni abitante a Lingua, nell’isola di Salina. Si sposò con una donna di Lipari, allevò una famiglia a Lipari, e l’ortografia del suo cognome cambiò da "Gumina" ad "Umina". Natale viveva di certo ancora a Lipari nel 1799, ma non so la data ed il luogo della sua morte.

Natale ebbe tre figli: Antonino, Giuseppe e Francesco Umina, che fecero qualcosa di inusuale. Non rimasero a Lipari, loro luogo di nascita, ma continuarono le escursioni itineranti, già iniziate dal loro padre Natale ed emigrarono una seconda volta nella penisola italiana. I motivi di questa seconda partenza sono scomparsi nella notte dei tempi. Credo che le necessità economiche abbiano giocato un ruolo importante. Comunque, è certo che i tre fratelli andarono via verso il 1800 e non ritornarono più in Sicilia. Questo fu la seconda emigrazione della mia famiglia.

Mio antenato Francesco Umina era il fratello più piccolo. Andò prima nel comune di Rodi Garganico nell’allora provincia di Capitanata (oggi Foggia) e poi si stabilì nella città di Chieti. I suoi discendenti abitarono in Chieti per cento anni. Il suo pronipote, Adolfo Umina (mio nonno), nacque lì nel 1889.

All’età di 16 anni, Adolfo lasciò i suoi genitori ed emigrò da Napoli negli Stati Uniti. Questo era la terza emigrazione della mia famiglia. Mio nonno vide l’Italia per l’ultima volta quando il suo piroscafo, Il Piemonte, si fermò nel porto di Palermo. Due settimane dopo, Adolfo arrivò nell’Ellis Island in New York, era il tre luglio del 1905, poi andò a Filadelfia.

Nel Dicembre del 1908, mio nonno Adolfo sposò a Filadelfia mia nonna Rosa Maria Teti, che era la figlia maggiore di Marziale Teti e Marianicola d'Ulisse, entrambi di Torricella Peligna. Il mio bisnonno Marziale emigrò negli Stati Uniti nel 1887 e sua moglie Marianicola nel 1891. Sua figlia Rosa Maria nacque a Filadelfia nell'anno successivo. Lei e mio nonno Adolfo ebbero nove figli.

Come si può vedere, il mio ramo della famiglia Gumina è stato "itinerante" per sette generazioni, da quando Natale Gumino partì da Giojosa Guardia, 250 anni fa. Ci sono state tre emigrazioni in questo periodo, il che è alquanto unico se paragonato ad altre famiglie con lo stesso cognome. Più recentemente, cioè dai primi del Ventesimo secolo, la maggior parte dei Gumina sono emigrati direttamente dal loro paese nativo verso gli Stati Uniti (o l’Australia o il Sud America). In altri termini, sono emigrati solo una volta. Quasi tutti si sono stabiliti nella parte orientale degli Stati Uniti, nel Massachusetts, New York, New Jersey, Pennsylvania ed Ohio. Alcune famiglie si sono stabilite nello stato meridionale della Louisiana. Alcune sono andate in California, sulla costa occidentale.

Come sapete, milioni di italiani emigrarono negli Stati Uniti dopo il 1870. Più di 4 milioni emigrarono fra 1876 a 1920. Fu veramente un grande esodo nella storia del mondo. Molti di questi emigranti erano poveri e volevano scappare dalle difficili condizioni economiche italiane, per esempio tasse alte e paga bassa. Credevano nella verità del famoso proverbio: "Chi esce, riesce", e speravano di trovare una vita migliore in America. Alcuni emigranti trovavano "il sogno Americano" e divennero cittadini degli Stati Uniti. Altri abitarono e lavorarono in America ma non rinunciarono mai alla loro cittadinanza Italiana ed alla fine ritornarono in patria.

L’emigrazione fu una necessità per la mia famiglia. Mio bisnonno Vincenzo Umina non era un uomo ricco. Lui e sua moglie Maria allevarono otto figli. A fine secolo, quattro di questi figli emigrarono verso paesi lontani. Uno di loro era mio nonno Adolfo. Lui trovò lavoro in una fabbrica americana, si sposò, ebbe nove figli, e comprò una casa a Filadelfia. Non ritornò più in Italia. Evidentemente non aveva voglia di rivedere il suo paese natale. Nel 1920 divenne cittadino degli Stati Uniti d’America.

È innegabile che l’emigrazione di mio nonno ha portato molti vantaggi ai suoi figli ed ai suoi nipoti, me compreso. Purtroppo, ci sono pure conseguenze negative. Ho già detto della prima conseguenza negativa, cioè la non-conoscenza della storia familiare. Non ho mai conosciuto mio nonno; è morto quattro anni prima che io nascessi. Mio padre Antonio non ha mai parlato di lui. Non sapeva dove era nato suo padre, né i nomi dei suoi parenti. Sa solo che suo padre emigrò dall’Abruzzo. Quando, nel 1983, cominciai la ricerca del mio lignaggio paterno, conoscevo soltanto il cognome di mio nonno. Allo stesso tempo, avevo una "fame" incredibile per conoscere il mio retaggio. Avevo tante domande, ma purtroppo nessuno sapeva niente. Quindi era necessario ricercare e ricostruire la mia storia familiare da solo. Fortunatamente ho avuto successo.

A proposito, è probabile che mio nonno e mio bisnonno non sapevano che il loro cognome era siciliano o che discendevano da una famiglia siciliana. Mio padre fu molto sorpreso quando gli comunicai che la nostra famiglia era di origini siciliane. Ricordo ancora quando lui mi disse: "Non lo sapeva nessuno". Questo è un esempio del come l’emigrazione, attraverso il tempo e lo spazio, può oscurare o cancellare la conoscenza dei tempi passati.

Un’altra conseguenza negativa è stata quella di perdere la lingua italiana. Mio nonno parlava sempre italiano con mia nonna Rosa Maria, ma mai con i figli. Come molti emigranti, insisteva che i suoi figli imparassero a parlare l’inglese. C’erano ragioni pratiche per questo durante quel periodo. L’inglese era la lingua degli Stati Uniti, e gli emigranti dovevano imparare e parlare l’inglese se volevano avere successo in America. Questo era necessario per il processo di assimilazione. C’era inoltre, in alcuni posti, pregiudizio nei riguardi degli italiani, e parlare una lingua straniera poteva accrescere la discriminazione o peggio. Purtroppo, la capacità di parlare italiano nella mia famiglia è completamente persa.

La lingua è sola una parte della cultura, e la perdita della cultura italiana è stata la conseguenza più negativa nell’emigrazione di mio nonno. Lui aveva 16 anni quando andò in America, e per ciò che sappiamo non era pratico di cultura e tradizioni italiane. Quindi la ricchezza culturale non si potò trasferire ai figli o ai nipoti. Mio padre fu della prima generazione Italo-Americano, però non conosceva tanto della cultura italiana, eccetto forse le cose imparate guardando sua madre in cucina. Lui e suoi fratelli si erano americanizzati. Si arruolarono nell’esercito americano nella seconda guerra mondiale e sposarono donne di altre nazionalità (per esempio, irlandese o inglese), il che confuse ancor più l’identità etnica dei loro figli. Mio padre sposò mia madre, una donna inglese-americana, che non era nemmeno cattolica. Io sono cresciuto in una casa non religiosa, dove non si celebrava la cultura o la tradizione italiana. Da ragazzo, non avevo conoscenza della mia identità etnica.

Ovviamente, parlo aneddoticamente, e l’esperienza familiare non è rappresentativa dell’esperienza di tutti gli emigranti italiani andati in America. Molti emigranti hanno portato le nostre tradizioni ed i nostri costumi in America, e continuarono a celebrarli e praticarli, il che contribuì sostanzialmente alla stessa cultura Americana. Questi sono gli italiani di cui noi leggiamo nei libri storici. Comunque, molti emigranti non desiderano ritornare in Italia. Non sono così nostalgici da ritornare a piedi ai loro paesi natii. Non si sono voltati indietro mai, hanno guardato solo in avanti alla loro nuova vita in America. Questo era mio nonno.

Ma questo non sono io. Per tutta la vita, ho avuto un forte desiderio di conoscere la storia dei miei antenati e del mio retaggio. Questo è stato sempre molto importante per me. Sebbene io sia grato a mio nonno per il suo coraggio ad andare in America, mi dispiace che lui non abbia portato con se la memoria della sua patria e che non abbia trasmesso la pratica della cultura e delle tradizioni italiane tra suoi figli. Credo che molte cose siano state dimenticate.

A volte penso che mi sarebbe piaciuto crescere in una casa dove si celebravano tradizioni e costumi italiani, dove si trasmettevano i racconti della famiglia e dove i ricordi dei miei antenati si potevano conservare. Una conoscenza precedente del mio retaggio avrebbe reso la mia vita più interessante e soddisfacente. Non è però successo prima, e quando è successo è stata opera mia. Sono stato molto fortunato. Oggi sto provando a trasmettere questa conoscenza e questo orgoglio etnico alle mie figlie. Loro sono giovani, ma spero che un giorno apprezzeranno i miei forzi.

Dovremmo conoscere chi siamo e da dove veniamo, affinché si possa ritornare alle case dei nostri antenati. Nel 2004 sono tornato in Sicilia, a Gioiosa Guardia, proprio sulla cima del monte. Sono arrivato al settimo cielo, tra le nuvole che avvolgevano la casa dei miei antenati. Mi è sembrato di essere giunto alla fine di un lungo viaggio nel tempo e nello spazio. L’odissea della mia famiglia era finita. Finalmente, dopo 250 anni, ero ritornato a casa.

http://www.torricellapeligna.com


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